Gran Carro di Bolsena: resoconto preliminare delle ricerche 2024 nell’insediamento sommerso

Data:
5 Settembre 2024

Gran Carro di Bolsena: resoconto preliminare delle ricerche 2024 nell’insediamento sommerso

Nell’ambito dei finanziamenti PNRR-CAPUT MUNDI, Missione 1 Componente C3 – NEXT GENERATION EU IN ROME – Intervento 164 – Bolsena (VT) – Gran Carro – abitato palafitticolo sommerso: messa in sicurezza, restauro, fruizione e valorizzazione, è terminata la prima fase di ricerche finalizzate alla migliore conoscenza del complesso archeologico, preliminari alla creazione di un percorso subacqueo, e quindi consentire una migliore offerta al pubblico.

L’insediamento protostorico del Gran Carro, noto dalla fine degli anni 1950, è stato oggetto solo recentemente di ricerche e ricognizioni intensive da parte della Soprintendenza tramite il personale afferente al Servizio di Archeologia Subacquea, dirette dalla dott.ssa Barbara Barbaro, funzionario archeologo di formazione protostorica.

Per la prima volta si stanno conducendo ricerche con la metodologia scientifica che uno scavo preistorico impone, eseguendo lo scavo stratigrafico in ambiente subacqueo, in un contesto la cui complessità non è data solo dalla presenza dell’acqua, ma dalla natura stessa della stratificazione.

L’insediamento, inquadrabile principalmente nella Prima Età del ferro, ovvero tra la fine del X – inizi IX sec. a.C., ma fondato già durante l’Età del Bronzo medio (XV sec. a.C.), si articola in due parti a destinazione distinta: abitativa nell’area della cosiddetta “palafitta”, e cultuale in corrispondenza del monumentale tumulo di pietre localmente denominato “Aiola, la cui funzione è stata compresa solo tra il 2021 e 2022.

Dal 2023, proprio in vista degli investimenti per la creazione del percorso subacqueo, le ricerche si stanno nuovamente concentrando nell’area abitativa, in un settore mai indagato prima, su una superficie di più di 150 mq.

L’obiettivo di valorizzare una parte dell’abitato, che si trova ad una profondità tale da consentirne la fruibilità con la semplice maschera anche dalla superficie, ha reso infatti necessario mettere in evidenza una porzione di superficie tale da far comprendere finalmente la natura delle strutture conservate.

Tutte le operazioni sono state interamente eseguite da archeologi e restauratori subacquei che sono intervenuti dove necessario ad effettuare i primi interventi conservativi sui materiali, sia organici, sia ceramici.

La complessa stratificazione è costituita infatti da livelli alternati di strutture andate a fuoco, crollate e poi ricostruite, intervallati da strati interpretabili come terrapieni artificiali accumulati intenzionalmente a coprire i resti degli incendi, probabilmente piuttosto frequenti tra abitazioni costruite totalmente in legno e dove i focolari erano anche interni alle strutture stesse.

Questi strati di “battuto”/terrapieno artificiale si caratterizzano per il colore giallo/arancione dovuto alla presenza di numerosissime scaglie, residui della lavorazione del legno probabilmente a seguito delle ricostruzioni delle capanne, all’interno dei quali si trovano ancora molti strumenti da lavoro, soprattutto lignei, o oggetti non più in utilizzo e gettati.

La maggior parte della ceramica proviene invece dai livelli di crollo a seguito degli incendi, spesso deformata dal dall’azione del fuoco, non più utilizzabile seppur a volte integra nelle forme.

Nel corso del 2024 è stato asportato un primo strato di “battuto” da cui provengono numerosi strumenti e manufatti in legno tra cui un manico per ascia, alcuni oggetti che sembrerebbero essere interpretabili come chiavistelli di porte, due fusi, di cui uno decorato con le fusaiole in impasto ancora infilate, due pettini probabilmente da telaio, un coperchietto conico forato con decorazioni plastiche a protome di uccello.

Eccezionale il rinvenimento di un canestro in vimini che ancora conservava il suo contenuto, di colore biancastro, forse pertinente a un qualche tipo di prodotto caseario e che sarà oggetto di specifiche analisi.

Tra gli i reperti ceramici rinvenuti, moltissime olle per contenere derrate alimentari, anfore finemente decorate e con anse a colonnette, diversi vasi biconici, tazze di grandi e piccole dimensioni, ciotole finemente decorate, due poppatoi, vasetti miniaturistici tra cui uno si distingue per le incisioni simili a ideogrammi, forse imitanti un qualche tipo di scrittura.

Unico il rinvenimento di una figurina fittile antropomorfa appena abbozzata, anche nelle connotazioni femminili, in impasto poco cotto, che mostra ancora i segni delle impronte digitali di chi l’ha modellata e l’impronta di una trama di tessuto sotto il petto, segno che doveva essere probabilmente “vestita”.

Il suo rinvenimento in area abitativa all’interno di una delle strutture che si stanno mettendo in luce è da considerarsi di tipo votivo, probabilmente da mettere in relazione ad un qualche tipo di rituale domestico, come attestato anche in epoche successive; una sorta di Lare ante litteram.

La figurina trova confronti coevi principalmente a corredo di deposizioni funerarie principalmente nel Lazio meridionale. Si tratterebbe quindi del primo esemplare rinvenuto in contesto abitativo in Etruria meridionale.

Un altro particolare elemento fittile, in questo caso zoomorfo, è rappresentato dal rinvenimento di quello che sembrerebbe essere un cavallino miniaturistico, anch’esso appena abbozzato.

Questo è frammentato sulle terminazioni delle zampe che tuttavia presentano i segni di fori passanti probabilmente per sostenere delle ruote, interpretabile quindi come parte di un carretto cultuale del tipo che doveva trasportare il simbolo solare, esempio tipico della simbologia religiosa dell’epoca protostorica.

Per questi due ultimi oggetti sembrerebbe escludersi la possibilità che possa trattarsi di giocattoli, ma è più probabile siano da interpretarsi quali rappresentazioni plastiche legate ad antiche tradizioni, come suggerirebbe l’iconografia ben nota della dea madre o del carro solare.

Come ipotizzato in altri casi analoghi, specialmente in ambiente terramaricolo, la fattura stilisticamente non ben definita e poco rifinita potrebbe significare che si tratti di oggetti realizzati frettolosamente per motivi legati ad uno specifico episodio o rituale, e destinati quindi a breve durata. Il fatto stesso che siano in impasto poco cotto ne confermerebbe l’utilizzo per specifici casi contingenti.

Dall’interfaccia tra il primo terrapieno individuato e lo strato sottostante composto da un accumulo di travi lignee andate a fuoco assieme ad elementi architettonici, provengono numerosissimi reperti, di cui più di 150 ceramici, molti dei quali integri o ricomponibili, che aprono una finestra temporale sulla quotidianità di una comunità villanoviana, svelandoci aspetti ancora poco noti perché non conservati in contesti analoghi all’asciutto.

Molti i reperti in bronzo rinvenuti, oggetto di studio da parte dell’Istituto Centrale del Restauro, tra cui numerosissimi anellini, fibule, attrezzi da lavoro quali piccoli scalpelli, aghi, ami da pesca e molti altri.

Tra gli ornamenti, un vago di collana in bronzo finemente decorato e un pendente in osso ornato da cerchielli incisi.

Per permettere una documentazione più possibile dettagliata l’area è stata suddivisa in quadrati 2×2 metri delimitati da fili facilmente rimuovibili.

Al momento della raccolta dei reperti, precedentemente rilevati, i quadrati sono stati ulteriormente suddivisi in quattro quadranti; ogni quadrante è stato poi fotografato con una griglia a maglia 10×10 cm prima dell’asporto per un migliore riconoscimento a posteriori. Ogni reperto è stato poi fotografato, numerato ed etichettato.

La distribuzione dei materiali, nonostante esito di risistemazioni, potrebbe dare risposte riguardo alla suddivisione degli spazi all’interno delle strutture.

Queste ultime, certamente costruite all’asciutto, dovevano essere state impiantate direttamente sul suolo e non su soppalco.  Da qui andrebbe quindi revisionata l’idea di “palafitta” proprio sulla base degli ultimi dati archeologici raccolti.

Si è potuto infatti notare non solo che i pali sono tutti inseriti in cavi di fondazione riempiti di sabbia e inerti, ma sono contenuti in “canalette” di fondazione “piene”, ovvero contrariamente a quanto si riscontra in contesti all’asciutto in cui sono evidenti i negativi delle fondazioni, al Gran Carro è tutto ancora conservato ed è quindi fonte unica di conoscenza sulle tecniche costruttive di 3000 anni fa.

Oltre ai cavi di fondazione sono conservati in prossimità dei pali alcuni elementi quadrangolari, in origine di “terra cruda” che hanno assunto una certa consistenza dopo aver subito l’azione del fuoco e quindi combusti. Potrebbe trattarsi di qualcosa di simile a mattoni crudi o muri in tecnica pisée.  Un aspetto pressoché sconosciuto certamente da approfondire.

Molti gli aspetti ancora da indagare e molto da documentare.

La narrazione avverrà anche attraverso un tour virtuale che si sta sviluppando in 3D navigabile e raggiungibile da qualsiasi postazione multimediale.

Contemporaneamente alle operazioni di scavo e recupero sono state condotte ricognizioni in un’area limitrofa solo apparentemente “vuota” ma su cui sono stati individuati più di 50 pali nuovi che si aggiungono agli oltre 500 già noti.

Questa operazione di censimento dei pali risulta ora fondamentale per comprendere l’intero impianto e tessuto abitativo.

Tutte le operazioni di documentazione e raccolta materiali sono state eseguite da e sotto la direzione scientifica della Soprintendenza tramite il Servizio di Archeologia Subacquea, coadiuvati e affiancati dai restauratori subacquei dalla Società CSR Restauro Beni Culturali S.a.S. cui sono stati affidati i lavori subacquei.

I lavori propedeutici all’apertura al pubblico nell’area a terra sono affidati alla Impresa Gentili Restauri S.r.l.

Fanno parte del Servizio di Archeologia subacquea la dott.ssa Barbara Barbaro archeologa, RUP dei lavori e direttore scientifico, l’ass. tecnico Egidio Severi che coordina anche le operazioni di rilievo topografico la fotogrammetria e le riprese da drone, l’Ispettore Onorario per l’Archeologia subacquea Massimo Lozzi che si occupa anche delle riprese fotografiche e video, l’Isp. Onorario per l’Archeologia subacquea Amedeo Raggi.

Hanno partecipato alla campagna 2024 alcuni archeologi tirocinanti: il dott. Simone Falqui, la dott.ssa Anna Lava, la dott.ssa Tess Pignorel.

Hanno coadiuvato alle operazioni di ricognizione i volontari del Centro Ricerche Archeologia Subacquea e i subacquei non vedenti della Associazione Albatros Scuba Blind International.

Per l’assistenza in acqua a garanzia della sicurezza è stata richiesta dalla Soprintendenza la collaborazione dei sommozzatori della Guardia di Finanza di Civitavecchia, dei subacquei dell’Aliquota Carabinieri di Roma, della motovedetta dei Carabinieri di Bolsena e della Polizia Provinciale di Viterbo, specie durante le giornate di apertura straordinaria al pubblico.

La riproduzione delle foto e dei disegni è consentita esclusivamente citando la fonte e mantenendo il logo di provenienza secondo la licenza CC-BY-NC-SA

Video e documentazione sono disponibili anche sul canale YouTube della Soprintendenza all’indirizzo:
youtube.com_SABAP-VT-EM


Autore del testo: Barbara Barbaro

Foto subacquee: Massimo Lozzi

Foto da drone e fotogrammetria: Egidio Severi



Ultimo aggiornamento

25 Settembre 2024, 10:52